Prosciutto del Casentino e della Valtiberina
La conca dell’alto corso dell’Arno era un tempo terra di boscaioli e pastori. Vi pascolavano, bradi o semibradi, anche rustici maiali dal manto scuro, probabilmente della cappuccia di Anghiari, una delle tre razze locali (le altre erano la casentinese e la rossa del Casentino) allevate per la produzione di prosciutti crudi pregiati. In un testo storico dell’Ottocento si citano prosciutti pregiati che erano spediti perfino in Germania e in Inghilterra. La ricetta tradizionale prevede che le cosce dei suini, dopo una refrigerazione di almeno 24 ore, sono rifilate, massaggiate e salate. L’impasto per la salagione è preparato con sale, aglio e, volendo, altre spezie (pepe, peperoncino, noce moscata e ginepro macinato). Dopo cinque, sette giorni si rimuove il sale residuo dalla superficie e si massaggia ancora. Quindi si passa a una seconda salagione, che si protrae per circa due settimane. Si elimina ancora una volta il sale in eccesso e si lascia maturare il prosciutto per 40, 50 giorni. In questa fase, tradizionalmente, si appendeva in cucina, al calore del camino: per questo è consentito anche un leggero gusto di fumo naturale (ottenuto con legna di querce, faggio e, in misura minore, ginepro). Dopo la stagionatura, che non può durare meno di 12 mesi, il prosciutto è pronto.
La forma del prosciutto del Casentino è tondeggiante, leggermente allungata e tendente al piatto, e il peso va dai 9 ai 12 chilogrammi. Al taglio è di un bel colore rosso vivo con una buona percentuale di grasso candido. Il profumo è intenso e penetrante e il gusto delicato, a volte con note finali di affumicato. Provatelo affettato a mano, accompagnato con pane toscano, e beveteci su un bicchiere di rosso di buon corpo.
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